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Sindrome di Pitt-Hopkins: all’Università di Pisa un progetto di ricerca studia le mutazioni del gene TCF4
02 Nov 2020 Scritto da Università di Pisa
Ricercatrici del Dipartimento di Biologia cercano risposte alla rara patologia cranio-facciale che colpisce i bambini
Generare nuovi modelli per studiare gli effetti di tre mutazioni del gene TCF4 che causano la sindrome di Pitt-Hopkins, una rara patologia cranio-facciale che colpisce i bambini. È questo l’obiettivo di un progetto di ricerca coordinato dal Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa che è stato finanziato dalla Comunità Europea nell’ambito del Consorzio Solve-RD, “Solving the unresolved rare diseases”. Il team di ricerca è composto dalla professoressa Michela Ori, responsabile del progetto, dalla dottoranda Miriam De Sarlo e dalla ricercatrice Chiara Gabellini. Partner della ricerca è il Centro Ospedaliero Universitario di Digione, in Francia, coordinato dal professor Antonio Vitobello.
Le ricercatrici utilizzeranno biotecnologie molecolari e tecniche di gene editing su modelli oggi ampiamente impiegati negli studi di biomedicina – come le larve del pesciolino Danio rerio (zebrafish) e della rana Xenopus laevis – per capire come queste mutazioni creino difetti nello sviluppo embrionale. Obiettivo finale è generare modelli ad oggi non esistenti su cui testare eventuali interventi terapeutici e che potranno essere utilizzati da tutta la comunità scientifica per studiare più approfonditamente le patologie associate a mutazioni in questo gene.
Una scoperta chiave rivela che la Neuropilina-1 promuove l’infettività del virus
02 Nov 2020 Scritto da Bristol, University of
La scoperta apre la strada per un potenziale trattamento antivirale che colpisce un meccanismo di entrata del virus nelle cellule
Un team di scienziati internazionali, guidati dall’Università di Bristol, ha fatto una scoperta rivoluzionaria che potrebbe aver identificato che cosa rende il virus SARS-CoV-2 così infettivo e capace di diffondersi rapidamente nelle cellule umane. La scoperta, pubblicata su Science martedì 20 ottobre, dimostra che l’abilità del virus di infettare le cellule umane si può ridurre utilizzando degli inibitori che bloccano l’interazione tra il virus e una nuova proteina sulle nostre cellule. Questa osservazione potrebbe portare allo sviluppo di nuovi trattamenti antivirali.
A differenza di altri coronavirus, che causano raffreddore e lievi sintomi respiratori, SARS-CoV-2, che è l’agente causativo del COVID-19, è altamente infettivo e trasmissibile. Finora, una delle domande rimaste ancora senza risposta riguarda il perché questo virus sia capace di infettare facilmente organi che risiedono fuori dal sistema respiratorio, per esempio cuore e cervello.
Per infettare gli esseri umani, il SARS-CoV-2 deve prima di tutto attaccarsi alla superficie delle cellule che ricoprono il tratto respiratorio o intestinale. Una volta adeso, il virus invade le cellule e si replica al loro interno generando un gran numero di copie di se stesso. Le copie del virus sono poi rilasciate dalle cellule e questo processo sostiene la trasmissione del virus.
Scoperta una molecola in grado di attivare la rigenerazione delle cellule muscolari fino all'età geriatrica. Lo studio, frutto della collaborazione tra la Sapienza e laboratori europei e statunitensi, apre la strada a nuove possibilità terapeutiche anche per i soggetti affetti da patologie neuromuscolari. La ricerca è pubblicata sulla rivista Nature Cell Biology
Con l’avanzare dell’età i muscoli tendono a perdere parte della massa, e dunque della forza, oltre che la capacità di ripararsi e rigenerarsi in seguito a traumi o danni. Aumenta così nelle persone più anziane il rischio della perdita di autonomia e di una maggiore fragilità.
Un nuovo studio internazionale, coordinato dall’Università Pompeu Fabra di Barcellona con la partecipazione di numerosi laboratori, tra cui quello del gruppo di Antonio Musarò della Sapienza Università di Roma, e pubblicato sulla rivista Nature Cell Biology, ha permesso di individuare il potenziale meccanismo che permetterebbe di mantenere giovani le cellule staminali dei muscoli nei soggetti anziani. Si tratta di un fattore di trascrizione, FoxO, che regola l’espressione genica, quella serie di eventi che traducono le informazioni contenute in un gene e che portano alla formazione di una proteina.
Covid-19, guariti ma ancora positivi al tampone a distanza di tempo dalla guarigione, sono quasi uno su 5
28 Ott 2020 Scritto da Elsevier
Ricercatori della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e dell’Università Cattolica, campus di Roma hanno dimostrato che quasi un paziente su 5 (il 16,7%) dei guariti dalla sindrome Covid-19 continua ancora a essere positivo al tampone per il coronavirus per alcune settimane.
È quanto emerso da uno studio pubblicato sull'American Journal of Preventive Medicine e condotto dal professor Francesco Landi del Dipartimento di Scienze dell'Invecchiamento, Neurologiche, Ortopediche del Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS e docente Facoltà di Medicina e chirurgia all’Università Cattolica, campus di Roma.
Lo studio ha coinvolto 131 pazienti Covid-19: si è visto che 22 dei pazienti (16.7%), pur rispettando tutti i criteri per terminare la quarantena, hanno continuato a presentare il tampone positivo. La probabilità di restare positivi al SARS-CoV-2 è più alta tra coloro che presentano ancora dei sintomi.
Durante le feste di Natale aumenta il consumo dolciumi quindi di zucchero, che è già pericolosamente eccessivo nei bambini e adolescenti. In aiuto a genitori e pediatri è stato realizzato un tool che consente di calcolare lo zucchero che ogni giorno si consuma rispetto a quello che si dovrebbe consumare, proponendo delle alternative sane e con meno zucchero.
Lo Zuccherometro (calcolatore quotidiano di zucchero) è un tool fruibile da smartphone, tablet o PC realizzato dai nutrizionisti e pediatri impegnati nel servizio di Educazione Nutrizionale Grana Padano, il settore del Consorzio Grana Padano che promuove e diffonde da oltre dieci anni i principi dell’equilibrata alimentazione. L’innovativo programma, di supporto a pediatri, scuole e famiglie, potrà essere utilizzato dal medico e dal dietista nell’ambito dell’anamnesi alimentare, in aula come strumento didattico e in famiglia per guidare il genitore verso una scelta più responsabile degli alimenti per i propri figli, al fine di combattere il consumo eccessivo di zucchero che compromette la salute dei nostri ragazzi e prevenire malattie gravi come l’obesità e il diabete.
Focus trombosi: conoscerla e affrontarla. Il punto con l’angiologo.
27 Ott 2020 Scritto da Ospedale San RaffaeleLa trombosi “è il capolinea di una patologia vascolare cronica nascosta ed evolutiva, talvolta anche acuta, che interessa arterie o vene”, afferma il Dott. Michel Praquin, specialista in angiologia e responsabile di branca presso il Poliambulatorio Specialistico San Raffaele Termini. A determinarla è la presenza di un trombo (coagulo di sangue nel vaso sanguigno) in un’arteria o in una vena. “I fattori responsabili e i sintomi dell’occlusione sono molto diversi a seconda del vaso interessato, arterioso oppure venoso”.
Differenza fra trombosi arteriosa e trombosi venosa
La trombosi dell’arteria avviene generalmente in modo progressivo: “le placche ateromasiche (accumulo di lipidi) si depositano lungo le pareti con conseguente riduzione progressiva del flusso verso i rami distali, fino all’occlusione del vaso portatore e l’ischemia del territorio di esso dipendente”. Fattori di rischio possono essere: “l’invecchiamento o il fumo, oppure patologie come il diabete, le dislipidemie, l’iperomocisteinemia, l’ipertensione arteriosa così come l’obesità e la vita sedentaria, senza tralasciare la familiarità”.
Un team di ricercatori del Dipartimento di Fisica della Sapienza Università di Roma, dell’Istituto dei Sistemi Complessi del CNR e dell’Università Cattolica di Roma ha sviluppato un sistema di intelligenza artificiale che, inglobando il tumore in una rete neurale, è capace di monitorare il metabolismo e la crescita delle cellule cancerose e, in maniera del tutto non invasiva, gli effetti delle chemioterapie. I risultati del lavoro sono stati pubblicati sulla rivista Communications Physics
L’intelligenza artificiale sta cambiando non solo molti aspetti della vita quotidiana, ma anche il modo di “fare scienza”, stimolando nuovi esperimenti e suggerendo strade di ricerca finora inesplorate.
Così i sistemi di intelligenza artificiale diventano sempre più avveniristici, interdisciplinari e neuromorfici (ovvero simili ai sistemi viventi) e trovano applicazione nei più disparati settori, come l’elettronica, l’informatica, la simulazione e le diverse branche della medicina. I nuovi modelli sono sviluppati per imitare il cervello umano, sia nel funzionamento, con un consumo di energia molto ridotto per l’apprendimento, sia nella struttura, utilizzando materiali biologici.
Ictus ed encefaliti, tra le principali manifestazioni
Si parla di COVID-19 e si pensa a quadri sintomatici che interessano l’apparato respiratorio. Ma in realtà nessun organo può dirsi escluso. E dopo le complicanze cardiovascolari, a catalizzare l’attenzione dei medici e della comunità scientifica, anche per la loro potenziale gravità, ci sono quelle neurologiche.
Questo tipo di complicanze fortunatamente non interessano tutti i pazienti. I più coinvolti di solito sono anziani o con patologie croniche concomitanti. Ma dopo le prime pubblicazioni scientifiche, negli ultimi mesi, si stanno moltiplicando le segnalazioni di questi casi. In particolare già uno studio cinese pubblicato nelle prime settimane dall’inizio della pandemia sostiene che i sintomi neurologici siano presenti nel 36% dei pazienti con infezione da coronavirus.
Rigenerazione delle cellule dell'occhio: scoperte spie di allarme
23 Ott 2020 Scritto da Istituto officina dei materiali del Consiglio nazionale delle Ricerche (Cnr-Iom) e SISSA , Scuola internazionale studi superiori avanzati
Grazie a raffinate tecniche di microscopia, ricercatori della SISSA e dell'Istituto officina dei materiali del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Iom) hanno individuato nei bastoncelli lampi di calcio che nessuno aveva precedentemente visto e nemmeno ipotizzato e che avvertono della necessità di procedere a un ricambio. Lo studio è pubblicato su PNAS.
Muoversi nella penombra è difficile ma non impossibile. Ad aiutarci in questa impresa sono i bastoncelli, un tipo di cellule sensibili alla luce (fotorecettori) presenti nella retina dei vertebrati, capaci di rivelare luci bassissime che permettono di muoversi anche in una cantina o caverna poco illuminate. Sono meraviglie biologiche in grado di rivelare anche un singolo quanto di luce, ma necessitano di una manutenzione continua. Sono loro i protagonisti del nuovo studio pubblicato su PNAS da un team di ricercatori della Sissa - Scuola internazionale superiore di studi avanzati e dell'Istituto officina dei materiali del consiglio Nazionale delle ricerche (Cnr-Iom) che svela nuovi e fondamentali dettagli di come funziona la retina e in particolare i fotorecettori. Questi sono costituiti da due segmenti: il segmento esterno (SE) ed il segmento interno (SI). Il SE dei bastoncelli è quello dove ha sede la macchina biologica in grado di captare la luce, mentre il SI è responsabile dell'informazione da trasferire al cervello.
Scoperti in retina recettori dei ritmi circadiani: il Prof. Barbanti al Congresso “Nutraceutica e Occhi”
20 Ott 2020 Scritto da Ospedale San Raffaele
L’identificazione di alcuni recettori specifici dei ritmi circadiani a livello retinico è il nodo tematico del 7° Congresso “Nutraceutica e occhi”, a cui è intervenuto il Professor Piero Barbanti, Direttore dell’Unità per la Cura e la Ricerca su Cefalee e Dolore dell’IRCCS San Raffaele di Roma. L’evento, che si è svolto sabato 17 ottobre con il patrocinio dell'Università di Roma La Sapienza e della SiNut (Società Italiana Nutraceutica), ha visto i maggiori esperti del settore indagare le tematiche legate all'alimentazione, all'integrazione alimentare e alle più diffuse applicazioni cliniche dei prodotti nutraceutici nelle patologie oftalmiche.
Al pari dell'orologio circadiano molecolare nel Sistema Centrale Nervoso, anche la retina è dotata di meccanismi molecolari che coinvolgono diversi clock genes: esiste quindi un nesso tra retina, neuro protezione e ritmi circadiani. Ci sono però dei fenomeni che ne compromettono la funzionalità come spiega il prof. Barbanti durante l’evento. È il caso del ‘jet lag sociale’ descritto in uno studio pubblicato su Current Biology come la sindrome dovuta alla mancata coincidenza del nostro orologio biologico con la nostra routine giornaliera. “Una condizione di forzatura dei nostri bioritmi corresponsabile di un aumentato numero di infarti e di malattie cardio-cerebro-vascolari legate alla liberazione di elevate quantità di cortisolo, ormone dello stress con effetto ossidante e pro-infiammatorio costituendo così indirettamente un fattore di rischio anche per malattie neuro-degenerative come l’Alzheimer e il Parkinson” commenta Piero Barbanti.