"In questa seconda ondata epidemica i casi di sindrome multi-infiammatoria sistemica (MIS-C) nei bambini sono raddoppiati. Se da febbraio a maggio ne avevamo registrati 53, da settembre ad oggi ne contiamo gia' 100". A dirlo e' Andrea Taddio, consigliere del Gruppo di studio Reumatologia della Societa' italiana di pediatria (Sip) e professore associato di Pediatria all'Universita' di Trieste, tra i promotori di un lavoro multicentrico teso ad indagare la correlazione tra la cosiddetta MIS-C e il SARS-CoV-2. "Il numero di bambini colpiti da forme multi-infiammatorie e' sicuramente maggiore rispetto al primo lockdown ma non c'e' allarme- ci tiene a precisare Taddio- le MIS-C seguono l'incidenza del Covid-19 nella popolazione di riferimento, dunque oggi i casi sono di piu' perche' il virus circola maggiormente". Nel complesso comunque "l'incidenza resta bassa- dice il pediatra, specificando che- al momento in Italia non abbiamo notizie di decessi. Ci sono stati bambini molto gravi che hanno necessitato di cure intensive anche per tempi lunghi, pero' tutti i casi si sono risolti".


Ricercatori dell’Istituto di analisi dei sistemi ed informatica “A. Ruberti” del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Iasi) e dell’Università di Milano-Bicocca hanno sviluppato una tecnica per ottimizzare le politiche di restrizione e riapertura in modo da ridurre al minimo sia le perdite umane legate alla diffusione del virus sia l’impatto socioeconomico delle misure restrittive.

“L’approccio si basa sulla formulazione di un modello matematico compartimentale di tipo SIRD (Susceptible, Infectious, Recovered e Deceased, cioè suscettibili, infetti, guariti e morti), che fornisce un soddisfacente compromesso tra accuratezza e semplicità nella rappresentazione della dinamica epidemica ed è in grado di spiegare le caratteristiche di base di una pandemia, in particolare nelle sue fasi iniziali”, spiega Alessandro Borri del Cnr-Iasi. “Le decisioni ottimali sono prese in termini di tempistica ed entità (persone sottoposte alle misure) ottimali di chiusura e riapertura, tenendo conto di un vincolo sul numero massimo di pazienti, al fine di prevenire il collasso del sistema sanitario. La tecnica è applicata in uno scenario di simulazione realistico basato sui dati dell’evoluzione di Covid-19 in Italia”.

Il prof. Edoardo Cervi (Università di Brescia): “E’ problema di salute non solo femminile che può essere affrontato anche grazie all’uso di prodotti d’origine vegetale in grado d’agire sul tono venoso”

Roma, 20 gennaio 2021 – Le vene varicose non sono solo un problema femminile. Si calcola che interessano anche il 25% degli uomini adulti che nonostante il lockdown e la pandemia, hanno ripreso in tutta Italia a sottoporsi a interventi nei centri specializzati. “I problemi legati al microcircolo sono traversali e colpiscono entrambi i sessi – sottolinea il prof. Edoardo Cervi, docente dell’Università di Brescia e specialista in chirurgia vascolare e generale -. Tuttavia le donne sono sicuramente le più interessate da questi disturbi di salute ma i nostri trattamenti sono sempre più richiesti anche dagli uomini che ricorrono, per esempio, alla scleroterapia. Si tratta di un piccolo intervento chirurgico che riesce ad eliminare le vene varicose attraverso la somministrazione direttamente in loco di alcuni farmaci specifici”.



Rossetti, lucidalabbra, mascara, cipria e fondotinta, ovvero alcuni dei prodotti più comuni per il makeup e che entrano in contatto con occhi e bocca, contengono ingredienti in plastica. È quanto emerge dal rapporto di Greenpeace “Il trucco c’è ma non si vede” in cui l’organizzazione ambientalista ha verificato la presenza di questi materiali, sia nelle liste degli ingredienti che attraverso indagini di laboratorio, nei trucchi di undici marchi: Bionike, Deborah, Kiko, Lancôme, Lush, Maybelline, Nyx, Pupa, Purobio, Sephora e Wycon. Si tratta di tipologie di prodotti non interessati dal divieto d’uso di microplastiche in vigore in Italia dall’inizio del 2020.

“La pandemia che stiamo vivendo ci insegna che dobbiamo cambiare il rapporto uomo-natura, favorendo una riconversione green dell’economia. È paradossale che uno dei settori più importanti del Made In Italy continui ad utilizzare, volontariamente, ingredienti in plastica che possono contaminare il pianeta e mettere a rischio la nostra salute” dichiara Giuseppe Ungherese, responsabile della Campagna Inquinamento di Greenpeace Italia. “Con questa ricerca abbiamo constatato non solo l’ampio utilizzo di particelle solide ma anche l’uso massiccio di polimeri in forma liquida, semisolida e solubile, i cui effetti sulle persone e sull’ambiente non sono del tutto noti”.



Uno studio clinico pilota, condotto dalla Sapienza Università di Roma, dal Consiglio nazionale delle ricerche e dall’Università degli studi di Roma Tor Vergata, ha dimostrato per la prima volta un aumento della chemochina Prochineticina 2 (PK2) nel siero di malati di Parkinson, suggerendone un potenziale ruolo protettivo. Il lavoro, pubblicato su Movement Disorders individua la molecola sia come biomarcatore che come target farmacologico per lo sviluppo di terapie utili per la malattia di Parkinson.


In un nuovo studio tutto italiano, pubblicato sulla rivista Movement Disorders, è stato dimostrato per la prima volta un significativo aumento della chemochina Prochineticina 2 (PK2) nel siero di pazienti affetti da malattia di Parkinson. I risultati dello studio pilota, condotto da ricercatori della Sapienza Università di Roma, del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) e dell’Università di Roma Tor Vergata su un campione di 31 pazienti con malattia di Parkinson, suggeriscono un possibile ruolo neuroprotettivo della molecola.

Immagine allegata: Modello 3D di un tubulo-T (verde), reticolo sarcoplasmatico (giallo), mitocondri (blu) e microtubulo (rosso) estratti da un tomogramma elettronico di un cuore di coniglio (profondità 300 nm).


Un approccio interdisciplinare che vede coinvolti l’Istituto nazionale di ottica del Cnr, il Laboratorio europeo di spettroscopie non-lineari, l’Istituto di medicina sperimentale cardiovascolare dell’Università di Friburgo e il Centro di microscopia elettronica dell’Università del Colorado Boulder (Usa) ha reso possibile la scoperta di un nuovo sistema di diffusione assistita all’interno delle cellule cardiache. L’articolo pubblicato su Circulation Research
Combinando competenze di fisiologia cardiaca, microscopia ottica ed elettronica presenti nell’Istituto nazionale di ottica del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ino), nel Laboratorio europeo di spettroscopie non-lineari (Lens), nell’Istituto di medicina sperimentale cardiovascolare dell’Università di Friburgo (Germania) e nel Centro di microscopia elettronica dell’Università del Colorado Boulder (Usa) è stato scoperto un meccanismo di diffusione assistita all’interno delle cellule del cuore e si è dimostrato come questo meccanismo sia indispensabile per mantenere in giusto equilibrio ionico all’interno delle cellule del muscolo cardiaco. Il lavoro è pubblicato sulla rivista Circulation Research.


La differenziazione delle cellule staminali, anche nelle prime fasi della gravidanza, è determinata dalla presenza di un amminoacido: la glutammina. La scoperta del team guidato da Graziano Martello dell’Università di Padova, in collaborazione con le Università di Torino e la Statale di Milano, è stata pubblicata su «Nature Genetics».
Lo studio è finanziato dalla Fondazione Armenise Harvard, dall’European Research Council e da AIRC.


La “dieta” delle cellule determina il loro buon funzionamento. Come accade per il nostro corpo, che ha bisogno di una dieta alimentare corretta per funzionare al meglio, lo stesso avviene a livello cellulare. Nello specifico, i ricercatori guidati da Graziano Martello dell’Università di Padova hanno capito che il metabolismo delle cellule staminali di tipo embrionale è condizionato dalla glutammina, un amminoacido che ne determina il corretto funzionamento. «Eliminando la glutammina dalla “dieta” delle cellule - commenta il Riccardo Betto, giovane ricercatore dell’Ateneo patavino e prima firma dello studio - o rendendole incapaci di metabolizzarla, le staminali, le cellule che danno origine a tutti i tessuti del nostro corpo, diventano incapaci di differenziarsi correttamente». Per capire il ruolo della glutammina, nel corso dello studio, ci si è concentrati sul meccanismo attraverso cui il metabolismo influenza la differenziazione delle staminali embrionali. Il team di ricercatori ha evidenziato come non sia la sequenza del DNA delle cellule a cambiare, ma solo alcune proprietà chimiche (modifiche epigenetiche): tali variazioni rendono regioni specifiche del DNA meno “attive”.


Fig.1 In alto: sezioni trasversali della parte anteriore del cervello murino con i ventricoli laterali (V), la via di migrazione rostrale (RMS) con i precursori neuronali e il bulbo olfattivo (OB) in animali di controllo (sx) e mutati (dx). In basso: neuroblasti in migrazione, i tratti colorati indicanti il tragitto. Normalmente organizzati in catene di cellule parallele (sx), i neuroblasti nei mutati (dx) sono disposti in maniera caotica e occupano un’area molto più grande.

 


Scoperto un nuovo meccanismo associato all’insorgenza di patologie dello sviluppo del cervello (sistema nervoso centrale), dovuto ad un’alterazione nella maturazione dei neuroni durante i primi mesi di vita dei bambini come conseguenza della mutazione del gene OPHN1, associato alla disabilità intellettiva umana.

Lo studio, pubblicato su PNAS da un gruppo dell’Istituto di neuroscienze del Cnr, rivela la variazione da cui dipendono i meccanismi molecolari alteranti lo sviluppo neuronale e la possibilità di ripristinare il normale processo di neurogenesi per via farmacologica, identificando nuovi bersagli per le terapie di sindromi come l’autismo.
La comunicazione fra neuroni eccitatori e neuroni inibitori è alla base dell’attività cerebrale. Sempre maggiori evidenze attribuiscono un ruolo chiave ai cosiddetti neuroni inibitori GABAergici, che utilizzano il GABA (acido γ-ammino butirrico), il più comune dei neurotrasmettitori inibitori presenti nel cervello. È stato osservato, infatti, che alterazioni dello sviluppo e/o della funzione dei neuroni inibitori sono alla base di molte patologie dello sviluppo. Il gruppo di Claudia Lodovichi dell’Istituto di neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-In) ha pubblicato un lavoro su PNASProceedings of the National Academy of Sciences che dimostra la prima evidenza dell’effetto della precoce maturazione dei neuroni GABAergici sull’insorgenza delle patologie del neurosviluppo, monitorando la migrazione dei precursori neuronali (neuroblasti) attraverso la tecnica di real-time imaging a due fotoni.

 


Svelati i meccanismi molecolari della stimolazione elettrica transcranica che aiutano a ridurre l’accumulo di proteine alla base delle malattie neurodegenerative. A rivelarlo è lo studio “Direct current stimulation enhances neuronal alpha-synuclein degradation in vitro”, appena pubblicato su Scientific Reports, realizzato da  Gessica Sala, tecnologa presso NeuroMi – Milan Center for Neuroscience, diretto da Carlo Ferrarese.

Attraverso un modello neuronale umano, lo studio ha dimostrato che la stimolazione a corrente diretta continua (DCS) è in grado di interferire sullo stato di aggregazione e sulla degradazione della proteina alfa-sinucleina, il cui accumulo è associato alla degenerazione neuronale nei pazienti affetti da malattia di Parkinson.

Oltre ai ricercatori di Milano-Bicocca, hanno collaborato allo studio i neurologi Tommaso Bocci e Alberto Priori, entrambi del Dipartimento di Scienze Umane - Centro “Aldo Ravelli” per le Neurotecnologie e le Terapie Neurologiche Sperimentali, Dipartimento di Scienze della Salute (Università degli Studi di Milano-Statale e ASST Santi Paolo e Carlo, Milano) esperti in tecniche di neurostimolazione applicate a diverse patologie neurologiche tra cui la malattia di Parkinson, e Marta Parazzini, ingegnere dell’Istituto di Elettronica e di Ingegneria dell'Informazione e delle Telecomunicazioni (CNR di Milano).

Lucia Manni

 

Team di ricerca internazionale svela come un organismo costituito da molte cellule e organi possa originare da poche cellule staminali.
Una delle domande più affascinanti che tutti noi ci poniamo è come un organismo costituito da molte cellule diverse e da molti organi possa svilupparsi a partire da una singola cellula fecondata.
La domanda diventa ancora più intrigante se lo stesso organismo, con le stesse cellule e gli stessi organi, può formarsi anche a partire da poche cellule staminali. Questo è quello che succede nella riproduzione asessuata che caratterizza le specie animali coloniali.


Un gruppo di ricerca guidato dalla professoressa Lucia Manni del Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova, in collaborazione con ricercatori dell’Università di Stanford, ha provato a indagare i meccanismi molecolari e morfologici che determinano lo sviluppo sessuato e asessuato di un piccolo invertebrato marino, Botryllus schlosseri, che si trova facilmente anche nella Laguna di Venezia.
Le colonie di Botryllus possono essere formate da centinaia di individui, geneticamente uguali tra di loro. Questi sono raggruppati a formare piccole unità a forma di fiore: ogni petalo è un individuo adulto. Grazie alle cellule staminali della colonia, ogni adulto può formare più gemme per riproduzione asessuata, che crescono diventando nuovi individui.

 

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