
Medicina (1315)
Categorie figlie
Dal cromosoma X indicazioni sulle cause della colangite biliare primitiva
12 Mar 2021 Scritto da Università degli studi di Milano Bicocca
Lo studio condotto da un team internazionale di ricercatori segna un importante passo in avanti verso la comprensione delle cause della colangite biliare primitiva (CBP). Il lavoro è stato coordinato dagli esperti dell’Università di Milano-Bicocca e del Centro delle Malattie Autoimmuni del Fegato dell’Ospedale San Gerardo di Monza, da anni impegnati a studiare questa malattia, e da genetisti dell’Istituto Clinico Humanitas di Rozzano. I curatori della ricerca hanno indagato il contributo del cromosoma X all’architettura genetica della patologia del fegato.
Come la maggior parte delle malattie autoimmuni, la CBP è una patologia che colpisce soprattutto il sesso femminile, con un rapporto tra femmine e maschi affetti di 9 a 1. Dagli anni ‘50 e ‘60 del secolo scorso molti medici e scienziati si sono dedicati a studiare gli ormoni sessuali, quali l’estrogeno ed il progesterone, per spiegare questa marcata preponderanza femminile senza però ottenere una chiara spiegazione. Per questo motivo gli studi si sono poi estesi anche ai cromosomi sessuali.
Lo studio “X chromosome contribution to the genetic architecture of primary biliary cholangitis” (DOI: 10.1053/j.gastro.2021.02.061) è stato pubblicato dalla rivista “Gastroenterology”. Grazie al contributo di colleghi di istituzioni sanitarie e istituti di ricerca del Regno Unito, del Giappone, della Cina e del Canada, i ricercatori di Milano-Bicocca e Humanitas University hanno raccolto ed esaminato i dati genetici relativi a 5.244 casi, compresi quelli di pazienti italiani. Applicando per la prima volta un metodo di analisi chiamato XWAS e sviluppato proprio per identificare in modo adeguato possibili associazioni genetiche nel cromosoma X, sono emerse associazioni con geni come il gene “FOXP3” che, se difettosi, possono alterare le normali funzioni delle nostre difese immunitarie, portandole ad “auto-aggredirci” e quindi a causare la CBP ed autoimmunità.
Fegato grasso: la mutazione di una proteina predice la fibrosi epatica nei bambini e negli adulti
12 Mar 2021 Scritto da Ospedale pediatrico Bambino Gesù
La scoperta dei ricercatori del Bambino Gesù pubblicata su EbioMedicine. Ricadute su diagnosi precoce e strategie terapeutiche.
La mutazione di una proteina predice l’insorgenza della fibrosi epatica nei bambini e negli adulti obesi e con fegato grasso. La scoperta è frutto di una ricerca coordinata dall’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù e condotta insieme alla Fondazione IRCCS Ca' Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista scientifica EbioMedicine del gruppo Lancet. La proteina mutata si chiama klotho-beta (KLB) e normalmente svolge un ruolo importante nella digestione e nell'assorbimento di grassi e vitamine. La sua mutazione in pazienti obesi con fegato grasso è associata 7 volte su 10 a infiammazione e fibrosi epatica.
OBESITA’ E FEGATO GRASSO
L'obesità è uno dei principali problemi mondiali sia nei bambini che negli adolescenti. L'aumento del numero dei bambini con sovrappeso e obesità nei Paesi industrializzati ha portato al parallelo aumento di casi di fegato grasso o steatosi epatica non alcolica (NAFLD). Negli ultimi vent'anni infatti la steatosi ha raggiunto proporzioni epidemiche anche tra i più piccoli diventando la patologia cronica del fegato di più frequente riscontro nel mondo occidentale. Il fegato grasso colpisce infatti tra il 5 e il 15% della popolazione pediatrica generale, ma arriva al 30-40% tra i bambini e i ragazzi obesi. È determinata dall'accumulo di grasso all'interno delle cellule del fegato e può evolvere nel tempo, se non trattata adeguatamente, verso l'infiammazione cronica del fegato (steatoepatite non alcolica, NASH), fino alla fibrosi epatica o al carcinoma del fegato anche in età giovanile.
LO STUDIO
I ricercatori dell’Ospedale hanno dimostrato come sia i bambini che gli adulti obesi e con fegato grasso che presentano la mutazione descritta nella proteina klotho-beta (KLB) siano maggiormente soggetti a sviluppare la fibrosi epatica. KLB svolge un ruolo fondamentale all’interno del sistema (FGF19) che controlla la produzione degli acidi biliari che servono a facilitare la digestione e l'assorbimento dei grassi e delle vitamine. La mutazione di KLB in pazienti obesi con fegato grasso causa la riduzione dei livelli epatici e circolanti della proteina ed è associata 7 volte su 10 ad infiammazione e fibrosi epatica. Si tratta di un’incidenza quasi doppia rispetto alla popolazione che non presenta la mutazione. Lo studio ha coinvolto 249 bambini seguiti dall’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù e 1.111 adulti seguiti dalla Fondazione IRCCS Ca' Granda Ospedale Maggiore Policlinico. La mutazione del gene KLB come marcatore predittivo dell’evoluzione del fegato grasso in fibrosi epatica nei bambini era stata individuata dai ricercatori dell’Ospedale in un precedente studio pubblicato sulla rivista Journal of Hepatology. Lo studio aveva evidenziato il ruolo di KLB negli squilibri della cellula epatica che si osservano nei bambini con fegato grasso. I risultati ottenuti suggerivano inoltre come il ripristino del normale funzionamento di KLB potesse rappresentare un nuovo bersaglio terapeutico. Con questo nuovo lavoro si è confermata la validità del nuovo biomarcatore predittivo anche negli adulti.
GLI SCENARI FUTURI
Per gestire al meglio i pazienti con fegato grasso sono importanti una diagnosi il più precoce possibile e il costante monitoraggio della progressione della malattia verso le sue forme più severe.
L’individuazione di marcatori biologici legati al fegato grasso offre un contributo sia sul fronte della diagnosi che del follow-up. Le tecniche attraverso cui molti di essi vengono analizzati sono poco costose e mini-invasive. L’Ospedale Bambino Gesù sta lavorando affinché questo nuovo marcatore venga inserito nei kit diagnostici attualmente in commercio. L’analisi del nuovo marcatore potrebbe risultare importante anche per la scelta delle migliori strategie terapeutiche. Esistono infatti diverse terapie molecolari per il fegato grasso attualmente in fase di studio la cui efficacia potrebbe essere condizionata dalla presenza di questa mutazione.
Polveri sottili e sclerosi multipla: dimostrato effetto su neuroinfiammazione e riparazione mielina
12 Mar 2021 Scritto da Università degli studi di Torino
I ricercatori del NICO - Università di Torino hanno dimostrato per la prima volta gli effetti negativi dell’esposizione al PM sulle capacità rigenerative del tessuto nervoso.
Secondo l’OMS causa la morte prematura di circa 4 milioni di persone nel mondo ogni anno. Ma l'esposizione cronica ad alti livelli di polveri sottili - il famoso PM (particulate matter) - è anche associata a una prevalenza della Sclerosi Multipla in alcune popolazioni. In particolare nei grandi centri urbani, dove i picchi di PM precedono sistematicamente i ricoveri ospedalieri dovuti all'esordio o alla recidiva di patologie croniche autoimmuni, tra cui la Sclerosi Multipla, come dimostrano numerosi studi epidemiologici. A oggi restano tuttavia da chiarire i meccanismi con cui l'esposizione al PM eserciti un effetto sul sistema nervoso centrale.
Grazie a un progetto pilota finanziato da AISM e la sua Fondazione FISM - Fondazione Italiana Sclerosi Multipla, le ricercatrici del NICO - Neuroscience Institute Cavalieri Ottolenghi dell’Università di Torino hanno chiarito per la prima volta che l’esposizione al PM ha effetti negativi sulle capacità rigenerative del tessuto nervoso, e in particolare della mielina, il rivestimento degli assoni che – se danneggiato, come avviene nella SM – compromette la trasmissione delle informazioni fra i neuroni.
Come la pandemia COVID-19 cambia la capacità di leggere il volto umano
12 Mar 2021 Scritto da Università degli studi di Torino
Studio promosso da UniTo ha coinvolto 122 soggetti con il compito di giudicare lo stato emotivo e il grado di affidabilità espresso da alcune fotografie di volti. Il lavoro, che riflette sull'opportunità di un impiego più diffuso delle mascherine trasparenti, è stato pubblicato sulla rivista Scientific Reports.
Uno studio, nato in seno al progetto europeo FACETS dell’Università di Torino, ha analizzato in che modo la pandemia di Covid-19 ha cambiato la capacità di leggere il volto ed è stato appena pubblicato sull’autorevole rivista Scientific Reports (del gruppo Nature). La ricerca si basa su un esperimento di psicologia sociale, svolto online durante la primavera 2020, che ha coinvolto 122 soggetti, che avevano il compito di giudicare lo stato emotivo e il grado di affidabilità espresso da alcune fotografie di volti.
Attività motoria rimedio essenziale contro l’ansia e la depressione da lockdown
12 Mar 2021 Scritto da Redazione
Pubblicati sulla rivista PLOS ONE i risultati dell’indagine IO CONTO 2020 condotta fra studenti e dipendenti di alcuni atenei italiani tra cui Pisa
Se durante il lockdown dello scorso anno le persone avessero potuto mantenere gli stessi livelli di attività motoria, si sarebbero potuti evitare fino al 21% dei casi gravi di ansia o depressione. È questo il risultato più rilevante dell’indagine “IO CONTO 2020” condotta fra studenti e dipendenti delle università di Pisa, Firenze, Torino, Genova e Messina ora pubblicato sulla rivista scientifica PLOS ONE, nell’articolo “Psychological distress in the academic population and its association with socio-demographic and lifestyle characteristics during COVID-19 pandemic lockdown: results from a large multicenter Italian study.”
Lo studio, coordinato dall’Università di Pisa (Laura Baglietto, Marco Fornili e Davide Petri del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale e Carmen Berrocal del Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell'Area Critica), ha consentito di raccogliere informazioni relative allo stile di vita della popolazione universitaria durante il lockdown tra aprile e maggio 2020 tramite un sondaggio online a cui hanno partecipato 18.120 tra studenti, docenti e personale tecnico-amministrativo delle università partecipanti.
Un’indagine di ricerca psicosociale, condotta dal gruppo Musa dell’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del Cnr su studentesse e studenti delle scuole secondarie di secondo grado italiane, ha identificato i fattori di rischio e protettivi rispetto al coinvolgimento in questi fenomeni. Lo studio è pubblicato sulla rivista internazionale International Journal of Environmental Research and Public Health
Un’indagine condotta nell’ambito delle attività di ricerca del progetto Osservatorio sulle Tendenze Giovanili del gruppo Mutamenti sociali, valutazione e metodi (Musa) dell’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Irpps), attraverso un approccio di tipo psicosociale, ha identificato i fattori di rischio e di protezione rispetto alla probabilità di essere coinvolti nei fenomeni del bullismo e del cyberbullismo come attori, vittime o spettatori. Lo studio ha coinvolto un campione di 3.273 studentesse e studenti italiani e analizzato l’influenza sui fenomeni di violenza di un considerevole numero di variabili afferenti alle dinamiche relazionali degli adolescenti e ai condizionamenti sociali che regolano atteggiamenti e comportamenti giovanili. Lo studio è stato pubblicato su International Journal of Environmental Research and Public Health.
A poche ore dalla nascita i neonati riconoscono il loro corpo come un'entità separata dal mondo esterno
10 Mar 2021 Scritto da Università degli studi di Torino
Una ricerca realizzata dal Manibus Lab del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Torino e dalla Neonatologia Universitaria della Città della Salute e della Scienza, in collaborazione con il MySpace Lab del Department of Clinical Neurosciences dell’Università di Losanna e il Center for Neural Science della New York University, dimostra per la prima volta come i neonati siano in grado di associare stimoli sensoriali di modalità differenti e di distinguere se la sorgente di questi stimoli è vicina o lontana dal loro corpo, dimostrando così di possedere una prima forma di codifica dello spazio.
L’ 8 marzo è stato pubblicato, sulla prestigiosa rivista internazionale Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS), l’articolo intitolato "Spatial tuning of electrophysiological responses to multisensory stimuli reveals a primitive coding of the body boundaries in newborns".
Lo studio internazionale realizzato dal Manibus Lab del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Torino e dalla Neonatologia Universitaria della Città della Salute e della Scienza di Torino, in collaborazione con il MySpace Lab del Department of Clinical Neurosciences dell’Università di Losanna e il Center for Neural Science della New York University, dimostra che pochi giorni di vita per un neonato sono sufficienti per sviluppare una integrazione multisensoriale efficiente. Nella vita di tutti giorni essere in grado di integrare stimoli sensoriali di modalità differenti in un evento coerente è un'abilità fondamentale, come ad esempio associare una voce a un viso noto o ricollegare il suono della sirena all'immagine di una ambulanza in arrivo.
L’asimmetria dentale ha effetti sul cervello e può causare malattie da deficit cognitivi come la demenza
10 Mar 2021 Scritto da Università di Pisa
Lo studio dell’Università di Pisa pubblicato su Scientific Reports rivista del gruppo Nature
L’asimmetria dentale ha effetti sulle aree del cervello associate alla memoria e può causare malattie legate a deficit cognitivi come la demenza. La scoperta arriva da uno studio pubblicato sulla rivista del gruppo Nature “Scientific Reports” e condotto da un gruppo di ricercatori dei dipartimenti di “Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia” e “Scienze Veterinarie” dell’Università di Pisa e dal Dr. Vincenzo De Cicco, medico odontoiatra di Pescara, promotore di approcci innovativi nel campo degli interventi protesici.
“I risultati della ricerca indicano che il movimento della mandibola e il contatto fra i denti possono influenzare l’attenzione, le funzioni cognitive e i processi plastici cerebrali” ha spiegato la dottoressa Maria Paola Tramonti Fantozzi, primo autore dell’articolo, nonché assegnista del Dipartimento di Ricerca Traslazionale.
Secondo lo studio, l’asimmetria di denti e mandibole provocherebbe infatti una serie di asimmetrie a catena: muscoli più sviluppati e pupilla con diametro più grande da un lato sino alla modificazione unilaterale di alcuni geni associati alla memoria.
Donazione di reni da vivente tra Italia e Spagna: è il primo trapianto crossover internazionale dopo la pandemia
08 Mar 2021 Scritto da Centro Nazionale Trapianti
È stato realizzato con successo un nuovo doppio trapianto di rene da vivente incrociato tra una coppia donatore-ricevente italiana e una estera. Si tratta del terzo intervento dall’attivazione di questo programma sanitario internazionale, nell’agosto 2018, e il primo in assoluto dall’inizio della pandemia.
Lo scambio, avvenuto tra Italia e Spagna, è stato coordinato dal Centro nazionale trapianti e dalla Organización nacional de trasplantes ed è stato realizzato a fine gennaio tra il Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS di Roma e l’Hospital regional universitario Carlos Haya di Malaga. Dopo il prelievo dei reni a due donne, avvenuto quasi simultaneamente, l’organo spagnolo è arrivato a Ciampino con un volo sanitario ed è stato affidato agli operatori del Centro regionale trapianti e dell’Ares 118 della Regione Lazio che hanno a loro volta consegnato ai colleghi iberici il rene italiano. I due organi sono poi stati trapiantati nei riceventi, rispettivamente il figlio della donatrice spagnola e il marito di quella italiana. Tutti gli interventi sono perfettamente riusciti: la donatrice italiana, sessantenne e in ottima salute, è stata dimessa dopo soli tre giorni dal prelievo, mentre il paziente trapiantato, 67 anni, è rientrato a casa dopo tre settimane di ricovero. Soddisfacente anche il decorso della coppia spagnola.
Pubertà precoce: casi più che raddoppiati durante il lockdown
08 Mar 2021 Scritto da Ospedale pediatrico Bambino Gesù
Uno studio degli specialisti di Endocrinologia del Bambino Gesù è stato pubblicato sull’Italian Journal of Pediatrics.
Sono più che raddoppiati, durante il lockdown del 2020, rispetto allo stesso periodo del 2019, i casi di pubertà anticipata o precoce registrati all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. La rilevazione è contenuta in uno studio osservazionale condotto dagli specialisti del reparto di Endocrinologia, guidato dal prof. Marco Cappa, che è stato pubblicato sull’Italian Journal of Pediatrics. La seconda fase della ricerca, già avviata, ha l’obiettivo di accertare le cause di questo fenomeno.
LA PUBERTA’ PRECOCE
La pubertà precoce consiste nella maturazione sessuale che inizia prima degli 8 anni nelle bambine e prima dei 9 anni nei maschi. Rientra nell’ambito delle malattie rare, con un’incidenza di 0,1-0,6% della popolazione (in Italia da 1 a 6 nati ogni 1000). Il corpo del bambino inizia a trasformarsi in adulto troppo presto, con un’accelerazione dello sviluppo dei caratteri sessuali e una rapida chiusura delle cartilagini di accrescimento osseo: per effetto di questo processo, i bambini crescono velocemente in altezza, ma poi il picco si esaurisce e da adulti hanno una statura inferiore alla media. Se la diagnosi interviene precocemente – prima degli 8 anni – è possibile usare dei farmaci per rallentare la pubertà.
L’INCREMENTO DEI CASI
È la sproporzione dei numeri ad aver suscitato l’attenzione degli endocrinologi del Bambino Gesù. Nel periodo marzo-settembre 2019 i pazienti che presentavano un anticipo puberale o una pubertà precoce sono stati 93 (87 femmine e 6 maschi); nello stesso periodo del 2020 sono stati rilevati, invece, 224 pazienti (215 femmine e 9 maschi). Si tratta, ovviamente, in base alla definizione di pubertà precoce, di bambini di età inferiore agli 8 anni. Per la precisione, nel 2019, l’età media si è attestata per le bambine a 7,51 anni e a 7,97 nei maschi. Nel 2020, invece, le rilevazioni hanno segnato un’età media di 7,33 anni nelle bambine e di 8,14 nei maschi. L’indagine è stata estesa anche agli anni 2017 e 2018: nel periodo considerato, la pubertà anticipata o precoce ha interessato un numero tra gli 80 e i 90 pazienti.