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Individuato un nuovo punto debole dell’atrofia muscolare spinale
28 Set 2020 Scritto da Istituto di biofisica (Ibf) del Cnr di TrentoUno studio europeo coordinato dall’Istituto di biofisica del Cnr di Trento, con la partecipazione delle Università di Trento, Edimburgo e Utrecht, l’Istituto Sloveno di Chimica e Immagina Biotechnology, ha individuato un meccanismo che “blocca” il normale processo di formazione delle proteine in individui affetti da SMA. Il risultato, pubblicato su Nature Cell Biology, rappresenta un punto di svolta nello sviluppo di terapie di nuova generazione
Nuovi orizzonti nella comprensione dell’atrofia muscolare spinale (SMA), devastante malattia genetica che colpisce un neonato ogni 6.000-10.000 nati, ad oggi la principale causa di mortalità infantile associata ad una malattia genetica. La SMA è causata dalla perdita o dalla mutazione del gene Smn1, che riduce i livelli di una proteina nota come Survival Motor Neuron (SMN) e provoca, fin dai primi mesi di vita, difetti nei motoneuroni e debolezza muscolare.
Una maratona chirurgica per 3 trapianti di rene in contemporanea: e 2 interventi erano 'rari'
28 Set 2020 Scritto da Policlinico di Milano
È successo al Policlinico di Milano il 23 settembre: una corsa contro il tempo con tamponi rapidi anti-Covid, un paziente che arrivava da fuori Regione e sale operatorie da sincronizzare
I trapianti sono sempre interventi straordinari, capaci di cambiare radicalmente la qualità di vita di una persona. Ma non sono tutti uguali: ci sono quelli che si possono programmare e quindi si organizzano per tempo; e quelli che arrivano all'improvviso, e vanno gestiti con grandi capacità organizzative. Al Policlinico di Milano lo scorso 23 settembre è successo tutto questo in contemporanea: un trapianto di rene da donatore vivente (il marito che dona alla moglie in dialisi) e due trapianti più urgenti e soprattutto 'rari': per questo si è dovuta organizzare una 'maratona chirurgica' durata quasi 16 ore, durante cui si sono sovrapposti ben 4 interventi in sala operatoria.
Covid-19, il ruolo cruciale degli interferoni nell'immunità protettiva dei pazienti
25 Set 2020 Scritto da Università di Milano Bicocca
Un consorzio internazionale di ricercatori, coordinati dal National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID) e dalla Rockefeller University (New York), ha scoperto perché alcuni soggetti con COVID-19 sviluppano una forma particolarmente grave di malattia. I risultati contribuiscono anche a spiegare la ragione per cui i soggetti di sesso maschile contraggano forme gravi di malattia in misura maggiore rispetto alla popolazione femminile.
I risultati dello studio, pubblicati su due lavori apparsi oggi su "Science" (Auto-antibodies against type I IFNs in patients with life-
threatening COVID-19, DOI:10.1126/science.abd4585 e Inborn errors of type I IFN immunity in patients with life-threatening COVID-19, DOI: 10.1126/science.abd4570), dimostrano che difetti genetici e alterazioni immunologiche che compromettono la produzione di interferoni e la risposta cellulare a queste molecole sono alla base di forme molto gravi di COVID-19.
Covid-19: il 15% delle forme gravi spiegato da anomalie genetiche e immunologiche
25 Set 2020 Scritto da Cnr-Igb et alAnticorpi neutralizzanti contro l’IFN di tipo I sono alla base della polmonite da COVID-19.
Abbiamo verificato l'ipotesi che gli auto-anticorpi contro gli IFN di tipo I possano essere alla base delle forme severe di Covid-19 compromettendo il legame degli IFN di tipo I al loro recettore e l'attivazione della risposta cellulare contro il virus. Gli auto-anticorpi neutralizzanti sono rappresentati in rosso e gli IFN di tipo I in blu. Nei pazienti con autoanticorpi, l'autoimmunità adattativa altera l'immunità antivirale innata e intrinseca.
Alti livelli di anticorpi diretti contro IFN di tipo I nel sangue di individui con forme severe. Tra questi anche pazienti con una malattia genetica rara, l’Incontinentia Pigmenti. Lo afferma, in due studi pubblicati sulla rivista Science, un team internazionale che comprende due ricercatrici dell’Istituto di genetica e biofisica del Cnr di Napoli
Perché la risposta individuale all'infezione da virus SARS-CoV2 varia così tanto da persona a persona? Risolvere questo mistero renderebbe possibile identificare i pazienti a rischio, anticipare e migliorare la loro cura e offrire nuove vie terapeutiche basate su una maggiore comprensione della malattia.
Due studi condotti da un team internazionale a cui hanno partecipato Francesca Fusco e Matilde Valeria Ursini dell’istituto di genetica e biofisica “A. Buzzati-Traverso” del Consiglio nazionale delle ricerche di Napoli (Cnr-Igb) e pubblicati sulla rivista Science danno risposta a questa domanda chiave. Il team - guidato da Jean-Laurent Casanova (The Rockefeller University, NY, USA e Istitute Imagine/Necker-Enfants malades, Parigi, Francia) e Helen Su (National Institute of Allergy and Infectious Diseases, NIH, USA) - ha identificato le cause genetiche e immunologiche che spiegano il 15% delle forme gravi di Covid-19. I pazienti hanno in comune un difetto nell'attività delle forme di Interferone di tipo I (INF-1), molecole del sistema immunitario che normalmente svolgono una potente attività antivirale. Queste scoperte potrebbero consentire di sottoporre a screening le persone a rischio di sviluppare una forma grave e di trattare in maniera mirata i pazienti.
Alimenti e COVID-19: strategie preventive e di supporto alle terapie
25 Set 2020 Scritto da Università di Roma La Sapienza
Il team di studiosi del Dipartimento di Chimica e tecnologie del farmaco, in collaborazione con l’Università di Napoli Federico II e l'Università Mediterranea di Reggio Calabria, ha evidenziato il ruolo adiuvante di alcuni micronutrienti contro l’infezione da SARS-CoV-2 e la potenzialità di componenti attivi come possibili precursori di farmaci. La review è stata pubblicata sulla rivista Foods
In risposta all’emergenza da COVID-19, gli studi volti a contrastarne la sua diffusione o a ridurre la sintomatologia e i rischi e a recuperare le condizioni di salute dell’organismo, hanno avuto una forte accelerazione, in particolare nelle aree medica, ingegneristica, diagnostica, psicologica, economica e antropologica mentre non è stato adeguatamente indagato il potenziale contributo degli alimenti sullo stato di salute.
Eppure, è ampiamente noto il ruolo strategico del cibo e quello dei suoi componenti - siano essi macro, micronutrienti o metaboliti secondari - nel mantenimento o nello sviluppo di uno stato generale di salute che, a sua volta, favorisce il contrasto alle infezioni, ivi incluse quelle virali contribuendo, nel contempo, ad attenuare l’eventuale sintomatologia derivante dalle patologie correlate.
Spinti da questi presupposti, il team di studiosi guidato da Luisa Mannina del Dipartimento di Chimica e tecnologie del farmaco della Sapienza, Alberto Ritieni e Michela Grosso dell’Università di Napoli Federico II e Maria Teresa Russo dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, afferenti al network nazionale della Chimica degli Alimenti (ITACHEMFOOD), ha valutato il ruolo degli alimenti nelle strategie adottate per affrontare l’attuale pandemia da COVID-19 causata dal virus SARS-CoV-2.
Ricostruiti i primi mesi di vita dell’epidemia Covid-19
23 Set 2020 Scritto da Università degli studi di Milano
In pubblicazione sul Journal of Medical Virology, uno studio condotto sul genoma di SARS-Cov-2 che,attraverso una stima dell’origine e della dinamica delle fasi iniziali dell’epidemia, suggerisce nuove ipotesi sulla trasmissibilità e l’evoluzione del virus. I risultati dello studio, firmato da Università degli Studi di Milano, sono già stati inviati dalla rivista alla Organizzazione Mondiale della Sanità.
E’ stato appena accettato per la pubblicazione sul Journal of Medical Virology, ed è già disponibile in versione pre-print su Medrxiv un lavoro dell’equipe di Gianguglielmo Zehender, Alessia Lai e Massimo Galli del dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche (DIBIC) Luigi Sacco dell’Università di Milano e Centro Ricerca Coordinata EPISOMI (epidemiologia e sorveglianza molecolare delle infezioni), della stessa Universitù Statale.
Lo studio è stato condotto nel laboratorio della Clinica delle Malattie Infettive del DIBIC, presso l’Ospedale Sacco di Milano (ASST Fatebenefratelli Sacco di Milano) e si tratta di un’indagine epidemiologico molecolare, svolta cioè sulle variazioni del genoma virale e quindi sulla filogenesi del virus stesso e non sul numero dei casi osservati. Il nuovo studio si è basato sull’analisi di 52 genomi virali completi di SARS-Cov-2 depositati in banche dati al 30 gennaio 2020 ed ha consentito la datazione dell’origine e la ricostruzione della diffusione dell’infezione nei primi mesi dell’epidemia in Cina, attraverso la stima di parametri epidemiologici fondamentali come il numero riproduttivo di base (R0) e il tempo di raddoppiamento delle infezioni.
Nuovi criteri clinici per distinguere le demenze neurodegenerative comportamentali dai disturbi psichiatrici primari
23 Set 2020 Scritto da Università degli studi di Milano
L’articolo pubblicato su Brain da un consorzio internazionale di esperti, di cui fanno parte per l’Italia Daniela Galimberti ed Elio Scarpini del Centro Dino Ferrari dell’Università di Milano e del Policlinico di
La demenza frontotemporale (FTD) è la seconda causa per frequenza di decadimento cognitivo prima dei 65 anni, dopo la malattia di Alzheimer. E’ una patologia neurodegenerativa corticale lobare progressiva caratterizzata da disturbi psico-comportamentali quali disinibizione, apatia, alterazioni della condotta sociale, mancanza di empatia, impulsività, aggressività. In circa il 40% dei casi vi è una ereditarietà e nel 20% dei casi è possibile identificare una mutazione genetica. Non esistono al momento terapie causali ma solo trattamenti sintomatologici. Un aspetto assai importante dal punto di vista clinico è dato dal fatto che esiste una significativa sovrapposizione sintomatologica tra questa patologia neurodegenerativa ed i disturbi psichiatrici primari di natura non degenerativa, quali depressione, disturbo bipolare, schizofrenia, disturbo ossessivo-compulsivo, spettro autistico ed anche disturbi di personalità.
Il cervello si rigenera anche in età adulta: antidepressivi, ma anche sonno e attività fisica aiutano il fenomeno
23 Set 2020 Scritto da Università di Pisa
L’Università di Pisa partner della ricerca pubblicata sulla rivista Current Neuropharmacology
La formazione di nuovi neuroni in alcune aree cerebrali come l’ippocampo avviene anche in età adulta e alcuni farmaci come gli antidepressivi, ma anche l’attività fisica e il sonno, stimolano il fenomeno. E’ questo quanto emerge da uno studio dei ricercatori delle Università di Pisa, L’Aquila, Glasgow e dell’IRCCS Neuromed di Pozzilli pubblicato sulla rivista Current Neuropharmacology. Lo studio apre così a nuove prospettive per curare alcune patologie psichiatriche, come ad esempio la depressione, mettendo insieme terapie farmacologiche e non.
“La funzione di questo processo, noto come “neurogenesi” – spiega Marco Scarselli professore di Farmacologia dell’Ateneo pisano - sembra importante per la flessibilità cognitiva, la regolazione emotiva e la resilienza allo stress. Alcuni farmaci, come gli antidepressivi stimolano questo processo e questo meccanismo è in buona parte responsabile della loro efficacia clinica. Tuttavia, anche approcci alternativi non farmacologici come l’attività fisica ed il sonno ristoratore, inducono la neurogenesi, con importanti conseguenze nella pratica clinica”.
All’Università di Pisa la ricerca è stata condotta al Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia da un gruppo composto da Marco Scarselli, Marco Carli, Stefano Aringhieri, Biancamaria Longoni, Giovanna Grenno e Francesco Fornai.
Le pupille dei nostri occhi: uno specchio sulla meditazione mindfulness
21 Set 2020 Scritto da Università di Pisa
Pubblicati su Current Biology i risultati di una ricerca condotta dall’Università di Pisa in collaborazione con l’Università di Firenze
La pupilla è una finestra aperta sui nostri processi cerebrali e fisiologici, in grado di fornire un metodo oggettivo per misurare lo stato di coscienza e le sue alterazioni – spesso ritenuti impenetrabili – raggiunti attraverso la meditazione mindfulness. È questo il risultato di una ricerca condotta dall’Università di Pisa in collaborazione con l’Università di Firenze sul tema “Spontaneous pupillary oscillations increase during mindfulness meditation”, appena pubblicata sulla prestigiosa rivista Current Biology.
Alzheimer: perché colpisce di più le donne
21 Set 2020 Scritto da Istituto di biochimica e biologia cellulare (Cnr-Ibbc)
La riduzione del livello degli estrogeni associata alla menopausa è un fattore di rischio, ma uno studio condotto da un gruppo di ricercatrici del Cnr-Ibbc mette in luce che gli stessi ormoni, sin dalla prima fase dello sviluppo, potrebbero favorirne l’insorgenza. Gli estrogeni tendono infatti a sfavorire nelle donne l’utilizzo dell’ippocampo, la struttura cerebrale deputata alla formazione della memoria a lungo termine e all’orientamento spaziale, e proprio il suo minore uso potrebbe essere alla base di una sua maggiore vulnerabilità agli effetti dell’invecchiamento, tra i quali la riduzione di volume e la formazione di placche. La ricerca è stata pubblicata su Progress in Neurobiology.
La malattia di Alzheimer, patologia neurodegenerativa che distrugge le cellule del cervello, è la più diffusa tra le forme di demenza e, a causa dell’invecchiamento della popolazione, il numero delle persone che ne soffrono tenderà ad aumentare. A essere più colpite da questa forma di demenza sono le donne e questo è dovuto all’ingresso in menopausa e al conseguente calo degli estrogeni, evento che determina la maggiore vulnerabilità femminile alla malattia, poiché questi ormoni svolgono una funzione protettiva contro la morte cellulare (apoptosi) e l’infiammazione che favorisce la formazione di placche di Beta amiloide, il cui accumulo è tra le cause della patologia.